/ Recensione: ELVIS (2022)

Racchiudere l’intera vita di Elvis Presley sarebbe stata dura in una serie televisiva, figuriamoci in un film. La sua carriera artistica è durata vent’anni ma penso che noi in neanche centinaia di vite riusciremmo a provare tutto quello che ha vissuto lui in quel periodo. Per questo ELVIS ha pregi e difetti come opera cinematografica ma era inevitabile che dovessero essere fatte delle scelte anche drastiche per condensare, ma una cosa è certa ELVIS va visto e goduto.

Chi conosce Baz Luhrmann sa che i suoi film non hanno mezze misure, che piaccia o no, e per questo ci si aspetta sempre grande estro ma anche che il tutto sia molto eccessivo. Nella prima parte Baz sceglie proprio questo, con un ritmo a mille all’ora che non fa respirare lo spettatore, lo prende, lo coinvolge, ma in questo modo non viene approfondita la vita del giovane Elvis e le canzoni ne vengono fuori solo in piccoli pezzettini.

Dopo un momento di declino della stella di Memphis la seconda parte si concentra di più sul suo periodo a Las Vegas, quando divenne realmente l’artista più famoso al mondo ma “imprigionato” dal suo manager, Il colonnello Parker, a cantare sempre ed esclusivamente lì senza poter girare il mondo in tour. Il rapporto fra i due è il vero collante del film e Parker (reso perfettamente da Tom Hanks) è sia narratore che vero cattivo della storia. Perché senza di lui Elvis forse non sarebbe mai divenuto una star di quel calibro ma di certo lo ha sempre trattato come un macchina da soldi e non come una persona.

Un grande peccato è che il rapporto fra Presley e sua moglie Priscilla rimanga sempre troppo superficiale, perché decisamente meritava più spazio e invece è stato troppo penalizzato il loro legame così intenso e sofferto nella realtà.

Niente da eccepire invece sulla bravura di Austin Butler che anche se non troppo somigliante al vero Elvis è riuscito a donare una sua versione del RE, cantando anche con la sua vera voce tutte le canzoni degli inizi di carriera di Presley. Luhrmann non voleva una copia come ce ne sono milioni in giro per il mondo ma voleva che lui fosse se stesso e che vivesse Elvis sulla sua pelle… e penso ci sia riuscito.

Peccato che Luhrmann nel globale si sia concentrato di più sull’Elvis cantante e artista che sulla persona, avrei preferito di più un approfondimento su quello che era nel privato, e poi probabilmente per grande rispetto non ha voluto infierire sugli ultimi momenti di carriera, non indugiando sulle dipendenze che lo hanno portato alla morte a soli 42 anni. Però ammetto che il finale con le immagini reali mi hanno fatto venire i brividi…

Per darvi un’idea di quanto mi sia effettivamente piaciuto questo biopic musicale, vi dico che l’ho preferito a “Bohemian Rhapsody” dove tutto era troppo piatto, lineare e senza guizzi (da fan dei Queen non sapete quanto è difficile ammetterlo) ma meno di “Rocket Man”, infatti l’opera sulla vita di Elton John aveva trovato il giusto connubio fra il raccontare la sua storia unendola alle sue canzoni più famose, creando qualcosa di veramente unico e coinvolgente, senza dover per forza attenersi alla realtà al cento per cento.