
“A cavallo fra il 1999 e il 2000, Daniel passò nella nostra bottega a Borgo San Frediano.
Era entrato, un giorno, per ordinare un paio di scarpe fatte a mano e su misura: già da tempo era a Firenze, ospite di amici, in fuga dalla celebrità.
La seconda volta che ci entrò, per sfuggire ai paparazzi, fece una richiesta che ci lasciò sbigottiti: chiese di lavorare in bottega per imparare l’arte.
Stefano (deceduto nel 2012) gli disse che non potevamo pagarlo secondo i suoi abituali cachet, ma a lui non importava.
Disse che avrebbe lavorato gratis.
Così iniziò l’apprendistato.
La mattina Daniel arrivava in bici con una bottiglia d’acqua, la camicia a quadri e i jeans.
Mi colpiva la sua dedizione assoluta al lavoro, aveva una compostezza maniacale, non dava confidenze, e stava in religioso silenzio otto ore al giorno: il primo ad arrivare, l’ultimo ad andare via.

Una sera era ospite al concerto del suo amico Sting ma per lui prima era più importante spazzare e sistemare la bottega per la chiusura serale e così Sting iniziò il concerto in ritardo per aspettarlo.
In cambio della sua gentilezza noi e la gente del quartiere gli offrivamo protezione dai paparazzi.
Più difficile proteggerlo dai famosi.
Quando Madonna si presentò in bottega per portarlo a cena, Daniel – che non ne voleva più sapere di quel mondo – fu preso dal panico, e implorò Stefano di invitarlo da lui per offrirgli un alibi.
Non fu semplice neppure per Martin Scorsese.
Ricordo bene le due mattinate intere che passò qui, cercando di convincere Daniel a recitare in “Gangs Of New York”, mentre lui imperterrito smartellava sulle scarpe.
Fu Rebecca, la moglie, che alla fine lo persuase.
Fu quello l’addio a Firenze e alla nostra bottega.
Al termine di un pranzo in famiglia, nel luglio del 2000, regalammo all’attore la cassetta degli attrezzi e le chiavi della bottega.
Gli dicemmo: questa è casa tua.
E lui scoppiò a piangere.
Oggi vorrei dirgli: Daniel, vieni a prendere l’ultimo paio di scarpe che hai costruito. Sono pronte da un sacco di tempo.”
Intervista di “Vanity Fair” a Mario e Cristina Bemer, i calzolai per cui lavorò il pluripremiato Daniel Day-Lewis.