/ Recensione: Pinocchio di Guillermo del Toro (2022)

Classificazione: 4.5 su 5.

In questi anni in cui la storia di “Pinocchio” è stata riproposta in tantissimi modi e versioni, ci sentiamo quasi assuefatti e mai avremmo pensato che ancora ci si potesse emozionare con le avventure del burattino più famoso al mondo… ma poi è arrivato del Toro e magicamente tutto è cambiato e la stella di Pinocchio è tornata a brillare in un modo però completamente diverso!

Si perché il regista premio Oscar per “The Shape of Water” (2017) decide di prendere solo spunto dalla storia di Collodi e poi crea intorno ad essa la sua visione, unica e speciale, catapultando Geppetto e Pinocchio in una Italia cupa e tetra ai tempi del fascismo, e qui Guillermo prende la sua strada ricalcando tutto lo stile che lo ha reso celebre nel mondo e infischiandosene dell’autenticità e mettendoci il cuore, facendoci tornare molto ai tempi del suo capolavoro “Il labirinto del fauno”.

Qui Pinocchio, a differenza dell’opera letteraria e anche di quella celebre Disney, nasce da una notte di bevute più intense di un Geppetto ormai disperato e senza più nulla nella vita, infatti i primi dieci minuti del film che portano a questo momento dell’esistenza del falegname vi avranno già fatto versare fiumi di lacrime, e capirete che già la realizzazione del burattino, così grezza e decisa, ci catapulterà in una storia più dura e “reale” a differenza di quella disneyana, fatta di oscurità ma anche di tantissima fragilità e umanità.

Ogni volta che si toccano determinate storie, ormai entrate nell’immaginario comune, si è sempre pronti a criticare il fatto che siano lontane dall’originale o solo una copia sbiadita ma qui la forza della trama sta proprio nell’essere una storia a sé, che utilizza Pinocchio per raccontarci un’epoca ma anche come affrontare la perdita, il lutto… e la vita.

Ovviamente se ci si mette anche una stop motion incredibile, con scene da togliere il fiato, allora tutto diventa ancora più incantevole, ed è stato saggio da parte di del Toro di avvalersi come co-regista di Mark Gustafson, esperto in questo campo, così i due hanno potuto unire le forze per rendere il film una vera perla, che deve vincere a mani basse, senza se e senza ma, l’oscar per il miglior film d’animazione nel 2023.

Se si guarda il film in lingua originale non si può che ammirare anche l’ottimo lavoro svolto da attori come: Ron Perlman (il podestà), Christoph Waltz (Il conte Volpe, un mix fra il gatto, la volpe e mangiafuoco), David Bradley (Geppetto), Tilda Swinton (Spirito del bosco e Morte) ma soprattutto Ewan McGregor. Il suo grillo parlante non è solo una coscienza un po’ troppo saccente, ma un vero e proprio amico fino all’ultimo…

Aggiungo solo che per me dovete assolutamente vederlo, poi magari vi piacerà o no, lo amerete o no, ma penso sia impossibile non piangere nei primi dieci minuti e soprattutto non finire in una valle di lacrime nella parte finale…

P.s: menzione per Cate Blanchett che pur di lavorare con del Toro in questo film, in quel periodo stavano girando insieme “La fiera delle illusioni”, pronuncia praticamente solo due/tre parole nelle vesti della scimmia “Spazzatura”. Anche lei ha voluto aggiungere un granello in più alla magia di questa opera.